Bruciata la Venere di plastica in piazza!

Bruciata la Venere di plastica in piazza!

Ammonio: “Quando arrivai a Napoli scesi a terra, lì c’era il rosso e capii d’essere finito nelle mani del maligno.”

Il Rosso: “Solo a Napoli tornai in qualche misura a sentirmi a mio agio, e lì incontrai anche quest’uomo di Dio, ridotto come un pezzente”.

Jung, “Il libro rosso”.

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L’artista vero è immortale, questo nel nome che a oggi, la scienza non ha trovato alcun rimedio efficace contro la morte, l’arte parrebbe di si, lo sa bene Prassitele con la sua Afrodite pudica o Venere che si fa il bagno nelle sue innumerevoli riproduzioni, anche da giardino, che sono quelle che Michelangelo Pistoletto utilizzava per la sua Venere degli stracci, facendoci riflettere su come nel 1968, si fosse assuefatti a qualsiasi cosa, nel nome di questo lo stesso artista, nel 2023, complice una visione culturale e politica d’arte imposta al pubblico (public art?), lo stesso artista ha ben pensato, senza un vero progetto inedito calibrato per Piazza Municipio, nel nome del valore del vile denaro, di potersi imporre a una Piazza non completamente ancora assuefatta.
La Napoli dell’arte contemporanea, non è soltanto Jorit che prolifera in ogni dove o Pistoletto che ricicla la sua Venere degli stracci in macro, ma è anche valore critico che non si straccia i capelli per un’opera in plastica arsa in una modalità che pare programmata proprio per imporne il valore:
Scrivo questo perché la forza dell’arte è velenosa, la forma produce un’immagine che sopravvive anche senza l’artista, e diciamola tutta, senza il rogo, quanto sarebbe stato complicato per questa riproduzione trash e decontestualizzata di un lavoro post datato, vendersi come qualcosa di storico?
Non c’è stata azione creativa come nell’originale del 1968, non c’è stata forza e neanche sostanza, al punto da fare apparire l’incendio come qualcosa determinato da forze occulte e maghi e prestigiatori da operetta.
La parola sui media di massa diventa gestione di mercato, Michelangelo Pistoletto dichiara d’avere vissuto il rogo come un femminicidio, attestando che l’artista non sa più ribellarsi alla caricatura del sé funzionale al circo della quotazione del suo mercato, rappresentando un ruolo sociale accecato e individuale che sa esistere in superficie soltanto nel presente, come se il linguaggio dell’arte valesse uno scatto su Instagram, trattando brutalmente il proprio passato senza prendersi cura dei morti.

La storia dell’arte diventa perdere la dignità purché ci sia visibilità e si venga pagati, nessun guardarsi indietro e dentro.
Hanno bruciato la Venere in plastica sommersa da finti stracci tirati su una struttura telaio?
Una causa effetto di un’operazione politica imposta alla piazza, che non fa altro che incrementarne la popolarità e la quotazione ricapitalizzando un intervento costato al Comune di Napoli 168360 mila euro, lo spettacolo del rogo vale il prezzo del biglietto, da quelle ceneri come una fenice, potrebbe nascere una idea d’Alta Formazione Artistica, che sappia porre in essere il valore critico, iconico, iconoclastico e icastico dell’arte, magari un giorno una Venere degli stracci sarà arsa a Cagliari per celebrare la nascita di una pubblica Alta Formazione Artistica, che in quel sud d’isola, ancora non è mai nata.

Il sogno simbolico sarà storia collettiva?

Il sogno simbolico sarà storia collettiva?

Il linguaggio simbolico dell’arte, è costante dell’eterna condizione umana, entropia costante che tende ad aumentare in termini di scambio, circolazione e connessione tra umani: si trasforma e divulga nello spazio tempo un’unica matrice, un’unica comunicazione tra umani, un’immensa biblioteca, piena di libri scritti con simboli che tornano, ma di questo si sta perdendo la coscienza e la consapevolezza.

Il simbolo pare calato dall’alto sull’umana condivisione, questo ci danneggia, allontana dal mistero costituito da un intreccio di sogni che, fa svegliare l’artista.

La sofferenza pare lo strumento per uscire dalla meccanicità della vita, dal sonnambulismo privo di consapevolezza determinato dal simbolo imposto, la tragedia e la sofferenza nell’arte paiono avere un ruolo diverso: sofferenza e fallimento la mia esperienza Cagliaritana, ma necessaria per chiarirmi cosa sia e possa determinare l’arte intrecciata alla vita, cosa siano i simboli e la loro riproduzione meccanica priva di senso.

L’arte ha un suo centro della memoria, che l’artista localizza (come fosse uno smartphone) dove si connette, i neuroni sono la sua memoria, ma non sono intelligenti, fisici o immortali, muoio come il nostro corpo, ma si muovono dentro e fuori di loro, sono coscienziosi, alimentano l’universo dell’artista che fissa momenti lavorando una vita.

Amori e conflitti vanno oltre il contemporaneo, hanno un aldilà, nel nome del quale la morte biologica dell’artista, lo rende comunque sempre presente, muoiono le stesse cellule del nostro corpo in vita, eppure resta il linguaggio simbolico, nella sua istantaneità simbolica fuori dalla nostra obsolescenza programmata: il nostro linguaggio simbolico dell’arte, senza fine, ci fa cosmicamente danzare con angeli, demoni e divinità fuori dal tempo.

Questi miei ultimi giorni Cagliaritani, impegnati dagli orali della maturità (prima d’emigrare in un’area metropolitana con pubblica Alta Formazione Artistica), sono pieni d’eventi simbolici, che mi dicono che devo andare:

  • Incontro un mio ex studente che sul bagnasciuga vendeva granita, avvicinatomi, mi riconosce, si toglie gli occhiali e  mi dice: Ma lei è Di Caterino? No, non è Di Caterino, non ha i suoi tatuaggi. Deprivandomi della mia identità.
  • Incidento in una rotonda con una Panda a Noleggio, con coppia di turisti toscani in dolce attesa, so d’avere ragione, perché stretto in una rotonda, chiamo la municipale e mi da torto, togliendomi anche due punti sulla patente e multandomi, nel nome del: a Cagliari guidiamo in una certa maniera, ma i turisti, che guidano qui come a casa loro, rispettano il codice della strada, facendomi rispondere, “chiaro, i residenti hanno sempre torto”.
  • M’avvicina a mare una ragazza speciale, facente capo a un’associazione, che mi chiede se sono un turista straniero o italiano, non dandomi il tempo di rispondere, con aria frivola mi parla dei suoi problemi col compagno, che m’indica, speciale anche lui, che mi dice essere monello, i ragazzi dell’associazione vengono a prenderla e si scusano con me.

Perché scrivo questo, che pare essere senza senso?

Perché i simboli sono nella vita, gli archetipi non sono solo nei sogni, interagiscono con noi nel quotidiano e paiono direzionati, è qui la magia simbolica dell’arte.

Di questo ragionano i miei studenti in questi esami di maturità: il valore del simbolo: cinque maturandi oggi  in Arti Figurative (uno studierà Scultura all’Accademia di Catania, uno al Dams, una a Brera, un altro vorrebbe essere un produttore d’arte e cultura Indy e uno vorrebbe studiare per fare il maniscalco in una scuola militare per poi finanziarsi gli studi artisti da emigrante a Milano).

A proposito di sogni che si muovono tra diverse dimensioni, ieri Franco Nonnis, mi ha inviato una fotografia di lui con Ada Lai Assessore Regionale al lavoro, che “potrebbe” essere storica, sono fuori l’ex sede del Foiso Fois di Via San Giuseppe al quartiere Castello di Cagliari.

 Che il sogno dell’Alta Formazione Artistica pubblica a Cagliari, stia arrivando nella dimensione terrena e materiale di una Cagliari che non l’ha mai conosciuta?

Forse avere sognato qui, d’artista e docente residente, qualcosa l’ha determinata, ragionando per simboli e archetipi all’origine di tutti i linguaggi (non solo quello dell’arte).